URBAN QUEENS. Street art al femminile
13/14/15/16 ottobre 2011
Spazio Concept, via Forcella 7 - Milano.
curata da Costanza Sartoris
testo critico di Serena Valietti
powered by Urban Painting
in collaborazione con Associazione culturale Spazio Concept
http://www.urbanpainting.info
JUST ANOTHER ONE OF THE BOYS.
SPAZI FISICI E MENTALI DELLA FEMMINILITÀ NELL'ARTE URBANA.
Di Serena Valietti
King. Re in inglese. Un termine che nella cultura hip hop viene attribuito a chi è molto
bravo e rispettato per quello che fa con dedizione e abilità. Il suo corrispondente, al
femminile non esiste. Una carenza che è già di per sé una spia di una mancanza di spazio
fisico e relazionale per il femminile nell'arte urbana. Giocando proprio sul vuoto
semantico, il titolo di questa mostra dedicata alle donne della street art, ne riconosce il
valore e le incorona Queens, mettendole per merito e bravura accanto ai loro colleghi King.
Per tenersi la corona ben salda in testa, le donne nell'urban art però devono giocare con le
stesse regole degli uomini: [...]per essere riconosciute devono avere gli attributi, qualità
maschili e anche un comportamento che sia come quello dei ragazzi. Quando poi
finalmente vengono accettate per risultati, dedizione e stile, perdono la loro femminilità e
vengono considerate come just another one of the boys1. Essere riconosciute come artiste o
writers, per come si viene percepite dai maschi, troppo spesso ha richiesto alle donne di
nascondere e reprimere la propria femminilità a favore di un comportamento “da
ragazzaccio”.
Dedicare una mostra alla street art al femminile invece, opera una fusione tra l'artista
rispettata per i suoi skills e la donna riconosciuta in toto.
L'artista così ha una doppia connotazione: è come una dei ragazzi, ma mantiene intatta la
propria individualità femminile, che si traduce poi nel feminine touch che emerge nei
lavori in mostra in Urban Queens: da Faith47 che ha acceso i riflettori sull'urban art
sudafricana con i suoi lavori socialmente connotati, alle sei stelle dell'universo urban
italiano: Pax Paloscia, Senso, Nais, Miss Eu, Alice Pasquini e Alita, metà del collettivo
milanese Orticanoodles. E ancora il mondo ipercolorato dell'argentina Cuore e delle due
spagnole Emedemati e Btoy. Esposte allo Spazio Concept anche le brasiliane Jana Joana e
Ananda Nahu, le fotografie di Jessica Stewart, gli eco-graffiti dell'inglese Faunagraphic, i
lavori della canadese Indigo e quelli di Mymo, di stanza a Berlino. Parte dello show anche
l'aerosol artist francese Liliwenn e la statunitense Lydia Emily con i suoi controversi
ritratti.
1 Nancy MACDONALD, The graffiti subculture: youth, masculinity, and identity in London and New York. Palgrave
Macmillan, 2001
Urban Queens si inserisce in un filone internazionale di mostre, happening, organizzazioni
e libri dedicati all'urban culture al femminile. Dal libro del 2006 di Nicholas Ganz Graffiti
Women, Street Art from the Five Continents, ai festival francesi Kosmopolite e étoiles
Urbaines a We B*Girlz, un libro della leggendaria fotografa e autrice di Subway Art
Martha Cooper, a cui è seguito l'omonimo festival, organizzato per presentare queste
“donne forti e indipendenti come modelli per le generazioni future e mostrare a tutti che
c'è un posto significativo per loro in questa cultura mondiale”
E in questa scena internazionale, le donne sono presenti già dagli albori: sono gli anni
Settanta quando nelle strade di New York affollate di tag compaiono anche quelle di due
ragazze, Eva 62 e Barbara 62, a cui si aggiungerà quella di Lady Pink, ad oggi una delle più
prolifiche (donne) dell'aerosol art mondiale.
Le artiste presenti in mostra a Urban Queens raccolgono l'eredità di queste tre writers
pioniere dell'urban art, che hanno aperto la strada a decine di artiste un mondo dominato
dagli uomini, in cui le donne hanno sempre lavorato, cercando di tenere lontano lo
stereotipo che le vede parte di questa cultura solo in quanto fidanzate di qualcuno o
groupies.
La conquista di un muro per queste artiste significa qualcosa di più che per i loro colleghi e
non si tratta solo del rischio maggiore corso dalle donne che dipingono la notte, in posti
isolati o in contesti già pericolosi anche per gli uomini.
La conquista di un muro e la realizzazione di un pezzo o di un'opera è una questione di
rispetto e di riconoscimento del proprio valore come artiste, “umane, sessuate, nomadi,
mortali del tipo femminile, chiamateci semplicemente donne d'oggi”2 in una scena troppo
spesso machista.
La conquista di un muro oggi è quello che ai primi del Novecento era la conquista della
famosa “Stanza tutta per sé” che dà il titolo a uno dei saggi più conosciuti di Virginia
Woolf. Una stanza che sia un luogo di indipendenza e di libertà di espressione in cui la
donna creativa possa finalmente “uccidere l'angelo della casa, che abita gli strati più
profondi della sua identità, […] quell'immagine di donna che si oppone all'auto
realizzazione”.
Una stanza come un muro. Ai primi del Novecento, come in questi anni Dieci. Spazio fisico
in cui proiettare sé stesse, “aggiungendo un proprio flavour, un proprio stile e gusto tutto
femminile a quello che gli uomini stanno facendo e renderlo anche nostro”. Parola di
Missy Elliott, una delle produttrici e artiste americane più rispettate della scena hip hop
mondiale.
2 Rosy Braidotti, La Bellezza dissonante. Testo della conferenza tenuta all'Università di Utrecht nel 2004
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